giovedì 23 aprile 2020

La strana meccanica fondamentale


La meccanica classica è la fisica che studia il movimento dei corpi nei sistemi che fanno parte della nostra esperienza quotidiana: essa descrive gran parte dei fenomeni che avvengono a velocità non prossime a quelle della luce e a dimensioni superiori a quelle atomiche. In generale per meccanica classica si intende l'insieme delle teorie meccaniche sviluppate fino alla fine del 1900. La meccanica quantistica, invece, è stata sviluppata a partire dai primi anni del 900' per descrivere il movimento dei corpi in sistemi che non fanno parte del nostro quotidiano, alle scale atomiche e subatomiche. Il principio di indeterminazione e quello di complementarità rappresentano insieme la grande differenza tra la meccanica quantistica e la meccanica classica e hanno dato vita ad un acceso dibattito sulla natura ultima della realtà, tutt'ora ancora aperto.
 Ma prima ancora di questi principi, alla base della fisica quantistica vi è il concetto secondo cui l'energia e la materia sono quantizzate, vale a dire che sono composte da quantità elementari e indivisibili di energia, dette quanti


PRINCIPIO DI INDETERMINAZIONE


Werner Heisenberg nel 1927
Il principio di indeterminazione è stato formulato dal noto fisico Werner Karl Heisenberg nel 1927. Questo principio cardine della fisica dei quanti consiste nel considerare alcune grandezze incompatibili. Per tali grandezze, come la quantità di moto e la posizione, non è possibile conoscerne e misurarne il valore nello stesso momento. Tale concetto, l'incompatibilità di alcune grandezze fisiche, è assolutamente estraneo alla meccanica classica. Calciando un pallone sarà infatti possibile conoscere nello stesso momento la velocità e la posizione del pallone lungo la sua traiettoria. Una proprietà intrinseca delle particelle elementari come gli elettroni, invece, è quella di avere una grandezza ben definita solo a discapito di un'altra che sarà indefinita di sua natura, e sarà perciò impossibile effettuare due misure precise contemporaneamente.
Il principio di indeterminazione con le grandezze posizione e quantità di moto si esprime così:
 in cui Δx è l'incertezza sulla quantità di moto, Δpx è l'incertezza sulla posizione, e h tagliato è la costante di planck ridotta. Le due incertezze sono quindi inversamente proporzionali: al diminuire dell'una, aumenta l'altra. 
Nell'interpretazione di Copenaghen della fisica quantistica, di cui Werner Heisenberg e Niels Bohr sono i principali fautori, il fatto che durante una misura sulla velocità ci sia una incertezza sulla posizione di una particella sub atomica, ne fa concludere che la particella è in più posizioni contemporaneamente. La sua posizione diventa sfuocata, diventa una nuvola di possibili posizioni, di fatto essa non ha più una posizione precisa, in funzione della sua velocità ben definita. Tale stranezza non sarebbe dovuta ad una nostra conoscenza limitata del sistema ma farebbe parte della natura intrinseca di tali oggetti. 


«Penso che l'esistenza della "traiettoria" classica possa essere così formulata in modo suggestivo: la "traiettoria" esiste solo quando la osserviamo.»
Heisenberg nel suo articolo sulle relazioni di indeterminazione, 1927.



DUALISMO ONDA/PARTICELLA

L'altro principio cardine della meccanica quantistica è il dualismo onda/particella che si esplica nel principio di complementarità. La materia e la radiazione presentano una doppia natura: corpuscolare e ondulatoria. 

Fino al 1905 gli scienziati pensavano che la luce avesse una natura esclusivamente ondulatoria: ne erano state infatti evidenziate solo le proprietà ondulatorie come la diffrazione (deviazione) di un onda luminosa. Il genio di Albert Einstein, però, nello stesso anno in cui ha pubblicato l'articolo sulla relatività ristretta (1905) pubblica anche un'altro articolo, sull'effetto fotoelettrico. Tale effetto consiste nella proprietà di alcuni metalli che, colpiti dalla luce avente una determinata lunghezza d'onda, espellono un elettrone.
Con questo fatto Einstein dimostra che la luce deve avere anche una natura corpuscolare che gli permetta di interagire con i corpuscoli presenti nel metallo, gli elettroni, e farne sfuggire uno. La luce può essere considerata sia come un onda che come una particella, chiamata fotone.
Un'altro fatto che mette in luce la duale natura onda/particella è la figura d'interferenza osservata durante il famoso esperimento delle due fenditure, esperimento che è stato svolto da numerosi scienziati. L'esperimento è stato svolto sia con la luce (radiazione) che con elettroni e i risultati portano alla medesima conclusione: le particelle subatomiche si comportano anche come delle onde e viceversa. L'esperimento della doppia fenditura utilizzando un fascio di elettroni fu eseguito per la prima volta da Claus Jönsson dell'Università di Tubinga nel 1961. Fu ripetuto nel 1974 a Bologna da Pier Giorgio Merli, Gianfranco Missiroli e Giulio Pozzi.
L'esperimento consiste nello "sparare" un fascio di elettroni contro una lamina di metallo con due aperture. Le aperture consentono ad alcuni elettroni di passare e verranno successivamente rivelati da uno schermo rivelatore posto oltre (vedi figura).
Ciò che viene rivelato dallo schermo non è la disposizione che ci si aspetterebbe intuitivamente, ossia che gli elettroni si dispongano sullo schermo in corrispondenza delle aperture che hanno attraversato. Quello che succede è invece che ci sono dei picchi, dei punti in cui gli elettroni si concentrano, che non corrispondono alle aperture ma a precise figure di interferenza create da onde sovrapposte. Ecco come è stata dimostrata definitivamente la duale natura onda/particella. Il principio di complementarità afferma che il duplice aspetto di alcune rappresentazioni fisiche dei fenomeni a livello atomico e subatomico non può essere osservato contemporaneamente durante lo stesso esperimento. Il principio fu enunciato da Niels Bohr al Congresso internazionale dei fisici del 1927 (tenutosi a Como in occasione del centenario della morte di Alessandro Volta). 

ALTRE INTERPRETAZIONI UGUALMENTE VALIDE


Nel dibattito sulle possibili interpretazioni dell'indeterminismo della scuola di Copenaghen, scienziati come David Bohm hanno sviluppato teorie opposte. Nella meccanica bohmiana, o interpretazione di Bohm, l'indeterminazione quantistica viene ricondotta ad una mancanza di conoscenza del sistema, le famose variabili nascoste. Bohm ha lavorato a un'interpretazione olistico/scientifica della fisica quantistica. La visione di Bohm della fisica quantistica è deterministica e non locale: ogni tipo di particella è associata a un'onda che ne guida il moto (chiamata onda pilota), che è responsabile del fenomeno di interferenza osservato nell'esperimento della doppia fenditura. Matematicamente tale onda pilota è descritta dalla classica funzione d'onda della meccanica quantistica, corretta da un fattore che rende conto dell'influenza sul moto della particella. Tale influenza dell'onda pilota sulla particella viene quantitativamente definita introducendo il potenziale quantistico, che rappresenterebbe il coefficiente matematico  dell'ordine implicito dell'universo, la variabile nascosta. Secondo Bohm non ci è dato conoscere la reale natura dell'ordine implicito nè perché esso esista, da qui infatti ha avuto inizio una serie di speculazioni affascinanti. Bohm definiva l'universo come un sistema dinamico in continuo movimento e affidava all'ordine implicito, e quindi al potenziale quantistico, il compito di creare la realtà come la conosciamo. Al limite tra fisica e filosofia, tra scienza e olismo, Bohm ha toccato un tema controverso, quello dell'indeterminazione quantistica, con un ottimo approccio da scienziato e anche da filosofo.
La teoria di Bohm non è maggiormente considerata e divulgata dalla comunità scientifica pur rimanendo un'interpretazione scientificamente valida della meccanica quantistica che ha avuto anche recenti conferme sperimentali.[1]


Riferimenti

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